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Bisogna dare atto alla Corte di avere profuso grande impegno nel motivare la decisione di questo “imbarazzante” conflitto, e di avere confutato con attenzione le numerose critiche che avevano accompa-gnato il ricorso del Presidente della Repubblica e gli argomenti avanzati dalla Procura resistente.
Positiva mi pare l’opera di ricostruzione del ruolo del Capo dello Stato – che sviluppa e precisa l’impostazione ormai tradizionale e condivisa dalla dottrina prevalente – quale figura di raccordo e garanzia dell’equilibrio del sistema anche mediante poteri di influenza e di persuasione. Data l’estrema problematicità del punto di partenza, e considerato il tenore dell’intera motivazione precedente , anche la soluzione del ca-so appare più equilibrata di quanto non ci si potesse aspettare. Infatti, pur riconoscendo in capo al Presiden-te della Repubblica la prerogativa della riservatezza “assoluta” delle comunicazioni – con l’eccezione, si in-tende delle ipotesi dei reati ex art.90 – e pur escludendo qualsiasi possibilità che l’immediata distruzione del-le contestate intercettazioni potesse avvenire nell’udienza camerale in contraddittorio con le parti , con una chiusa sorprendente e felicemente incoerente, la sentenza finisce per ammettere, anzi imporre, un controllo del giudice non solo sulla forma ma anche sul contenuto delle comunicazioni presidenziali, a “garanzia della legalità” e soprattutto allo scopo di evitare in “ipotesi estreme” il “sacrificio di interessi riferibili a principi co-stituzionali supremi: tutela della vita e della libertà personale e salvaguardia della integrità delle istituzioni della Repubblica (ciò che nella pratica è poi avvenuto ).