La sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 21 dicembre 2016 rappresenta l’ultimo episodio di una vera e propria saga giurisprudenziale nella quale gli organi giurisdizionali italiani, ed in primis la stessa Consulta, da un lato, e la Corte di Strasburgo, dall’altra, si sono pronunciati sulla legittimità dell’automatismo dell’attribuzione ai figli del cognome paterno, quale si rinviene nell’ordinamento e nella prassi italiani. Sebbene la Convenzione delle Nazioni Unite contro la discriminazione verso le donne (CEDAW) fornisca una disciplina specifica e puntuale in proposito, quella dell’art. 16, comma 1, lettera g), la Corte Costituzionale ha preferito fondare la sua pronuncia di incostituzionalità in base a motivi tutti interni all’ordinamento italiano. Questo articolo evidenzia e analizza pregi e difetti di questa scelta.
The judgement of the Italian Constitutional Court n. 286 of December 21st 2016 represents the last step of a real jurisprudential saga during which both the Italian jurisdictional bodies, and first of all the highest Constitutional Court, on the one side, and the Strasbourg Court, on the other side, did rule on the legitimacy of the automatic passing of the father’s surname on children, as implemented in the Italian legal system and practice. Although the United Nations Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women (CEDAW) contains, under its art. 16.1 lett. g), a specific provision exactly covering the case at issue, the Constitutional Court preferred to ground its illegitimacy judgement only on Italian constitutional provisions. The present article identifies and analyses pros and cons of such a choice.