Sommario: 1. Precisazioni preliminari. - 2. Sulla nozione di consumatore applicabile all’azione di classe. - 3. L’asserita discriminazione delle associazioni dei consumatori e degli utenti con riferimento all’autonoma promovibilità dell’azione di classe. - 4. Sulla pretesa disparità di trattamento degli aderenti all’azione di classe nei confronti del promotore.- 5. L’asserito stravolgimento delle normali regole processuali da parte della disciplina del giudizio di classe. - 6. Sull’impugnabilità per cassazione dell’ordinanza di ammissibilità dell’azione di classe. - 7. Sulla possibilità dell’impresa di proporre domande riconvenzionali e chiamate di terzo nel giudizio di classe. - 8. Sulla discutibile legittimità costituzionale della norma che impedisce l’applicabilità dell’azione di classe agli illeciti commessi prima del 15 agosto 2009.
1. Con l’art. 49 della legge 23 luglio 2009, n. 99 il legislatore, modificando radicalmente l’impostazione più pubblicistica dell’attuale seguita dall’art. 2 comma 446 della legge 24 dicembre 2007, n. 446 - che attribuiva la legittimazione ad agire alle sole associazioni portatrici di interessi collettivi -, ha dato vita ad un’azione che, pur essendo parimenti «collettiva risarcitoria», come quella del 20071, è denominata «di classe» e si realizza nel cumulo e nella gestione congiunta di azioni individuali in uno stesso «unico» processo contro la stessa impresa per i medesimi fatti, per celebrare il quale il legislatore ha attribuito al competente tribunale poteri inusuali, tra cui quelli di «definire i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio» e di regolare «nel modo che ritiene il più opportuno l’istruzione probatoria».