Mi limiterò ad esprimere le mie perplessità, confermate dalle recenti vicende referendarie, sull’attuale possibilità di sindacare la legittimità delle delibere della Commissione parlamentare d’indirizzo e di vigilanza dei servizi radiotelevisivi (di seguito: Commissione parlamentare d’indirizzo), relative all’accesso, soltanto in sede di conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
E’ noto che a tale soluzione si è giunti “quasi” per esclusione, dopo che era stata negata agli stessi esponenti del medesimo movimento politico - il Partito Radicale - la tutela delle loro ragioni sia in sede di giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo sia in sede di giurisdizione ordinaria, essendosi di volta in volta sostenuto: a) che, a fronte delle delibere della Commissione parlamentare d’indirizzo relative alla disciplina dell’accesso, non sarebbe configurabile una situazione di interesse legittimo, trattandosi di un’autorità soggettivamente non amministrativa (Tar Lazio, sez. I, 11 aprile 1979, n. 377); b) che, sempre con riferimento all’accesso, entrerebbero in gioco interessi superindividuali connessi all’obiettività dell’informazione che precludono l’esistenza di «istanze individualistiche» (Cass. sez. un., 25 novembre 1983, n. 7072, in Giur. cost., 1984, parte I, pp. 175 ss., spec. 196 s. con nota critica di M. Manetti); c) che non è comunque prospettabile una situazione di diritto soggettivo in capo all’accedente, non esistendo costituzionalmente un “diritto al mezzo”, sia esso privato o pubblico (Corte cost. sentenze nn. 59 del 1960, 105 del 1972, 225 del 1974, 202 del 1976, 94 del 1977).
Di qui, “quasi” per esclusione, la competenza della Corte costituzionale a giudicare delle delibere della Commissione parlamentare d’indirizzo comunque regolative dell’accesso, ma non già sotto il profilo dei vizi di legittimità (anche costituzionale) che le inficino, bensì - a partire da Corte cost., ord. n. 171 del 1997 - sotto il profilo della menomazione delle attribuzioni costituzionali del soggetto ricorrente. Il che in tanto si è reso possibile, in quanto nel frattempo la Corte costituzionale aveva riconosciuto, con le famose sentenze nn. 68 e 69 del 1978, a taluni esponenti dello stesso Partito Radicale la legittimazione a ricorrere in Corte costituzionale, in quanto promotori referendari.
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La discutibile insindacabilità delle delibere della Commissione parlamentare di indirizzo e di vigilanza sul servizio pubblico
- di: Alessandro Pace