La proposta del Presidente del Consiglio di elevare il quorum deliberativo delle pronunce della Corte costituzionale dall’attuale maggioranza dei giudici presenti al voto (art. 16, legge 11 marzo 1953, n. 87; art. 17 comma 3, Norme integrative della Corte costituzionale) ai due terzi dei giudici presenti, esplica conseguenze pregiudizievoli non solo sulla funzionalità della Corte costituzionale, come è stato fin qui autorevolmente rilevato, ma sulla stessa rigidità della nostra Costituzione.
La proposta incide infatti su quella caratteristica delle costituzioni scritte, ormai fatta propria da pressoché tutti gli ordinamenti vigenti, democratici e non, di porsi come atti normativi “formalmente superiori” rispetto alla restante attività normativa e provvedimentale degli organi dello Stato (leggi statali e regionali, decreti-legge, decreti-legislativi, decreti ministeriali, ordinanze, sentenze e così via). Con la conseguenza che tutti questi atti, per definizione “gerarchicamente inferiori”, non possono contraddire la Costituzione, essendo questa la “legge fondamentale”.