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CORTE COSTITUZIONALE E SINDACATO DINANZI ALLA COSTRUZIONE DEL SOGGETTO (A)CONFLITTUALE

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L’articolo prende le mosse da due fenomeni che hanno caratterizzato la governance economica della crisi: la giurisprudenza della Corte costituzionale sulle misure di austerity, deflazione salariale e indebolimento dei diritti dei lavoratori; i quesiti referendari che hanno (inutilmente) puntato ad abrogare quelle misure. Tesi di fondo è che le politiche economiche neoliberiste ispirate dalle istituzioni europee e dalla pressione dei mercati dei capitali fragilizzano inesorabilmente l’anima lavorista della Costituzione italiana. Rispetto a tale moto decostituzionalizzante, il ruolo della Corte, nei giudizi di legittimità costituzionale sulle leggi, non è sembrato assumere valenze resistenziali, semmai di fluidificazione del passaggio a nuovi assetti ordinamentali fortemente embricati dai vincoli dell’UE. Il referendum abrogativo ha, invece, assunto una più chiara connotazione resistenziale, anche per il fatto di essere patrocinato dal maggiore sindacato italiano al fine di reagire alla scoperta marginalizzazione degli attori sindacali nelle scelte fondamentali di politica economica e del lavoro. La posizione della Corte sui referendum abrogativi aventi ad oggetto le riforme economiche più cruciali è stata, tuttavia, di chiusura, secondo un atteggiamento che può agevolmente ricondursi ai precedenti in materia. Dinanzi alla questione fondamentale della fuga del capitale dal conflitto democratico, la Corte sembra essersi posta come soggetto che vigila affinché i tentativi di resistenza popolare non sfocino nell’autolesionismo (come potrebbe essere un referendum capace di scatenare la fuga dei capitali se non addirittura l’uscita dall’euro). La tesi del luogo del conflitto (che sembra non poter più essere più quello della democrazia costituzionale degli stati) viene, tuttavia, arricchita dalla tesi del soggetto del conflitto, il quale dalla crisi dello stato sociale all’avvento del neoliberismo è passato dall’idealtipo del lavoratore a quello dell’imprenditore e azionista di se stesso. La mobilitazione popolare perseguita dal sindacato attraverso le iniziative referendarie può, allora, essere letta come tentativo (disperato) di ricostruire un soggetto del conflitto, in un’epoca in cui il dogma della tecnicità delle scelte economiche sembra vacillare. Ripoliticizzare l’economia attraverso la mobilitazione referendaria operata da un soggetto collettivo cui la Costituzione riconosce un ruolo privilegiato sembra, in quest’ottica, una via d’uscita dalla crisi attuale delle istituzioni democratiche meno avventuristica della totale disintermediazione operata attraverso l’opaca “democrazia della rete”.

 

Starting points of the article are both the case law of the Italian Constitutional Court on national austerity measures taken under the influence of the EU and the failed referendum proposals aimed at repealing those measures. The underlying thesis of the article is that neoliberal reforms axed mainly on austerity and internal deflation and adopted under the pressure of international markets and EU institutions inexorably erode the pro-labour identity of the Italian Constitution. Confronted with this de-constitutionalizing trend, the role played by the Constitutional Court in the judgments on the constitutionality of national legislation seems more inclined to smooth the transition towards new institutional arrangements issued by the EU than resisting it. The abrogative referendum, on the contrary, has more clearly taken the role of resisting neoliberal trends, mainly because it has been recently chosen by the biggest Italian trade union (CGIL) as a tool for mobilizing workers and citizens in general against neoliberal reforms of labour market. After having been marginalized by the Europeanization of monetary policy, the biggest (leftist) Italian trade union try the way of “institutional resistance”, as a substitute for collective actions and political bargaining with the Government. But the Constitutional Court is involved even in those institutional tools of “constitutional resistance”, as it controls the admissibility of each referendum proposal. And once again, according to a long record of decisions, the Constitutional Court opted for preventing the mobilization of the electorate upon issues strongly connected with the European economic governance, as pensions and labour market reforms. Faced with the choice made by capital to escape the democratic conflict at national level, the Constitutional Court seems to assume the role of the guardian of the people, i.e., of preventing people from adopting self arming decisions in order to resist neoliberal policies (such as referendums capable of stirring up capital flight). In this context, the traditional thesis of the crisis of the national (democratic) space of the social conflict has to be integrated by the crisis of the subject of the conflict. This subject has undergone an evolution (or involution) from the ideal type of the worker to the “entrepreneur of himself” and the “shareholder of himself”. And this is the most successful outcome of neoliberalism, especially in Europe. The effort made by leftist trade unions (and other collective subjects) to mobilize people towards direct democracy can be read as the (desperate) effort to reassembling the subject of the social conflict. In a time when the technical and neutral nature of economic choices seems to become a wavering dogma, the effort pursued by trade unions (as other social groups) to re-politicising Economy towards institutional democratic tools like referendum seems to be a possible way out of the crisis of democracy at national level.

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