1.Il patrimonio comune del costituzionalismo e la declinazione in chiave nazionale della forma di Stato e del sistema di governo
È utile e produttivo, a maggior ragione a fronte dell’attuale progressivo e inarrestabile processo di consolidamento dell’assetto ordinamentale comunitario-europeo (dopo qualche frenata anche brusca si trova il modo di ripartire), sottolineare gli aspetti caratteristici del “costituzionalismo universale”, richiamando a tal fine il patrimonio comune del costituzionalismo occidentale. Da tempo Valerio Onida è impegnato anche su questo versante e non tralascia di evidenziare come, proprio facendo riferimento al suddetto patrimonio, è possibile, tra l’altro, il dialogo tra culture di diversa provenienza superando i conflitti esistenti e quelli latenti.
Le nuove Costituzioni, che si sono affermate nel secondo dopoguerra hanno portato gran parte dell’Occidente europeo ad allinearsi, sul piano dei principi di fondo e per quanto concerne l’adesione ai valori e agli ideali liberaldemocratici, con l’ordinamento britannico e con quello nordamericano; anche la Costituzione italiana del 1948, fatta eccezione per la differente configurazione del vertice dello Stato; assume questa riconoscibile e comune inclinazione democratica di base.
Il traguardo – perché proprio di questo si tratta – è stato raggiunto attraverso un lungo, faticoso e per nulla lineare processo storico che ha progressivamente conosciuto la “limitazione costituzionale” dei poteri della monarchia (la Gloriosa rivoluzione inglese del 1688-89), l’elaborazione teorica della separazione dei poteri (Montesquieu, Lo spirito delle leggi del 1748) e la richiesta, attraverso la rappresentanza parlamentare, di partecipazione all’esercizio di una quota di potere pubblico, considerata condizione indispensabile per sottostare al potere dell’autorità di governo. La rivoluzione americana e quella francese, entrambe della seconda metà del Settecento, furono ispirate ai suddetti principi. Tutto ciò consente di affermare che nell’esperienza liberale, anche così come si è manifestata nel corso del diciannovesimo secolo, gli organi legislativi, per via costituzionale, hanno affiancato, progressivamente condizionato o comunque limitato il potere del Monarca vero e proprio ovvero, Oltreoceano, del “Sovrano elettivo”.
In Europa, come è noto, il fascismo e il nazismo provarono a demolire ovunque lo Stato liberale – in Italia, anche a causa di una complessa e tormentata unificazione nazionale, il modello di Stato liberale non si era affatto consolidato – per affermare un mostruoso Stato totalitario che travolse qualsiasi segno di civiltà non solo giuridica e che abolì sostanzialmente la rappresentanza parlamentare.
È del tutto evidente che le specificità storiche di ciascun Paese devono sempre essere considerate con molta attenzione e che, restando dentro le coordinate che delineano le basi giuridiche sulle quali si costruisce il rapporto tra l’Autorità e la Comunità statuale, è ben possibile continuare a distinguere le specifiche soluzioni costituzionali apprestate da ciascun ordinamento democratico. Credo, dunque, che ancora oggi valga la pena distinguere, ad esempio, la forma di Stato democratico-sociale che connota alcuni ordinamenti europei, tra i quali il nostro, dalla forma di Stato più schiettamente liberale angloamericana; val la pena ugualmente mettere in luce il carattere più o meno accentuato dell’autonomia politica riconosciuta ai maggiori enti territoriali, che l’esperienza italiana, quella spagnola e, ancora di più, quella tedesca rivelano rispetto all’assetto ordinamentale britannico e a quello francese; ciò consente di operare utili distinzioni tra i modelli statuali più o meno accentrati e quelli di tipo federale.