L’organizzazione democratica dei partiti
è un presupposto indispensabile
perché si abbia anche fuori di essi
vera democrazia
Piero Calamandrei
Nei partiti riesce più difficile vivere con quelli che ne fanno parte,
che agire contro quelli che vi sono avversi
Cardinale di Retz
Sommario: 1. La questione preliminare, di ordine definitorio: cosa sono oggi i partiti e in cosa si distinguono dai movimenti politici? – 2. La vessata questione relativa al modo con cui misurare il tasso di democrazia dei partiti e i più attendibili indici della sua consistenza (con particolare riguardo alla formazione delle candidature alle elezioni ed alle modalità di rinnovo delle cariche in seno ai partiti stessi). – 3. Come rimediare alle acclarate carenze di democrazia interna? – Il profilo formale, concernente la fonte (o le fonti) con cui far luogo alla disciplina dell’organizzazione e del funzionamento dei partiti (in ispecie, il bisogno di un apporto congiunto, equilibrato, da parte delle regole, costituzionali e non, e delle regolarità, frutto di autodeterminazione della politica). – 4. Il profilo sostanziale: cosa fare in concreto, nello sforzo volto a democratizzare, almeno in parte, i partiti e il sistema politico dagli stessi composto? – 4.1. L’auspicata introduzione di misure premiali a beneficio dei partiti che si segnalino per il maggior numero di nuovi ingressi e di stranieri nelle assemblee elettive. – 4.2. Le modalità di selezione del personale politico (in particolare, a mezzo delle primarie) e i dubbi che il loro utilizzo ad ogni modo solleva. – 4.3. La rimozione del deprecabile metodo delle “liste bloccate” nella confezione delle candidature alle elezioni. – 4.4. Il bisogno pressante di assicurare l’effettiva eguaglianza delle chances tra i partiti in occasione delle prove elettorali. – 4.5. La spinosa questione concernente la disciplina dei controlli sull’organizzazione e il funzionamento dei partiti. – 5. Una succinta notazione finale: la democrazia nei partiti è un bene necessario e… impossibile?