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La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e il giudice comune italiano: la non manifesta infondatezza della questione

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 Sommario: 1. La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. - 2. Il caso italiano. - 3. Gli effetti della pronuncia nella valutazione intorno alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita? costituzionale. - 4. Conclusioni.

 

1. La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del primo aprile del 20101 ha stabilito che il divieto, posto dalla normativa austriaca2, alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo viola l’art. 14 (Divieto di discriminazione), in combinato disposto con l’art. 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare), della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. In particolare, la Corte e? stata chiamata a pronunciarsi sulla compatibilita? di tale divieto con la Cedu a seguito del ricorso di due coppie3. Queste chiedevano di poter accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, poiche?, alla La sentenza interviene quando, nell’ordinamento italiano, la questione di legittimita? costituzionale relativa al divieto di procreazione assistita eterologa e? gia? stata affrontata e decisa con la negazione dell’accesso alla Corte costituzionale. A questo proposito, si puo? brevemente richiamare quanto e? stato deciso dal Tribunale di Milano4, che ha ritenuto la questione di legittimita? costituzionale del divieto di ricorrere alla procreazione assistita di tipo eterologo manifestamente infondata. Il giudizio era stato instaurato, con un ricorso ex art. 700 c.p.c., da una coppia di coniugi, affetti da una condizione di sterilita? incurabile, a seguito del diniego da parte del medico di procedere con l’applicazione delle tecniche di procreazione eterologa sulla base dell’espresso divieto posto dal terzo comma dell’art. 4 della legge n. 40 del 20045. Si chiedeva, in particolare, che venisse ordinato al medico di eseguire le tecniche di procreazione eterologa e che venisse sollevata questione di legittimita? costituzionale, per violazione degli artt. 2, 3, e 32 Cost., nella parte in cui non si prevede una eccezione al divieto nel caso in cui i problemi di sterilita? o infertilita? non siano superabili mediante le tecniche di procreazione omologa. Il giudice monocratico6, rigettando il ricorso sulla base del fatto che la scelta del Legislatore risulta insindacabile in virtu? della sfera di discrezionalita? che gli e? garantita e pertanto non vi e? alcuna violazione del principio di ragionevolezza, aveva argomentato la propria decisione con una motivazione, definita dal giudice collegiale investito del relativo reclamo, “esauriente” 7. Innanzitutto, veniva rilevato come lo scopo della leggeluce del proprio quadro clinico, in un caso vi era la necessita? di ricorrere a donazione di ovuli e nell’altro caso a donazione di sperma con fecondazione in vitro.

2. Il caso italiano.La sentenza interviene quando, nell’ordinamento italiano, la questione di legittimita? costituzionale relativa al divieto di procreazione assistita eterologa e? gia? stata affrontata e decisa con la negazione dell’accesso alla Corte costituzionale. A questo proposito, si puo? brevemente richiamare quanto e? stato deciso dal Tribunale di Milano4, che ha ritenuto la questione di legittimita? costituzionale del divieto di ricorrere alla procreazione assistita di tipo eterologo manifestamente infondata. Il giudizio era stato instaurato, con un ricorso ex art. 700 c.p.c., da una coppia di coniugi, affetti da una condizione di sterilita? incurabile, a seguito del diniego da parte del medico di procedere con l’applicazione delle tecniche di procreazione eterologa sulla base dell’espresso divieto posto dal terzo comma dell’art. 4 della legge n. 40 del 20045. Si chiedeva, in particolare, che venisse ordinato al medico di eseguire le tecniche di procreazione eterologa e che venisse sollevata questione di legittimita? costituzionale, per violazione degli artt. 2, 3, e 32 Cost., nella parte in cui non si prevede una eccezione al divieto nel caso in cui i problemi di sterilita? o infertilita? non siano superabili mediante le tecniche di procreazione omologa. Il giudice monocratico6, rigettando il ricorso sulla base del fatto che la scelta del Legislatore risulta insindacabile in virtu? della sfera di discrezionalita? che gli e? garantita e pertanto non vi e? alcuna violazione del principio di ragionevolezza, aveva argomentato la propria decisione con una motivazione, definita dal giudice collegiale investito del relativo reclamo, “esauriente” 7. Innanzitutto, veniva rilevato come lo scopo della legge n. 40 del 2004 non fosse quello di “garantire ad ogni costo la genitorialita? ma di favorirla nell’ambito di precisi limiti”, tesi alla salvaguardia della salute dei soggetti coinvolti, compreso il nascituro, “oltre ai principi etici e sociali dal Legislatore ritenuti essenziali”. In particolare, la preoccupazione del Legislatore era quella di garantire al nascituro un modello di genitorialita? socialmente consolidato, optando per un tipo di genitorialita? biologica, la sola ritenuta in grado di garantire il diritto del nascituro a un equilibrio psicofisico e alla propria identita? biologica, oltre che alla crescita in un modello di famiglia “ritenuto maggiormente affidabile ed idoneo al suo migliore sviluppo”. In tal modo, si e? inteso accordare alle sole coppie con problemi di infertilita? o sterilita? superabili la possibilita? di procreare con tecniche artificiali, “inibendola alle coppie che, per problematiche personali di uno dei due, non possono procreare un nascituro figlio biologico di entrambi”. Successivamente, in sede di reclamo8, il Tribunale conferma integralmente questa decisione. Leggendo entrambe le ordinanze - quella del giudice monocratico e quella del giudice collegiale - si comprende come, nel giudizio intorno alla non manifesta infondatezza, i giudici comuni si siano sovrapposti alle competenze della Corte costituzionale9. Solo quest’ultima avrebbe potuto valutare la fondatezza o meno della questione, effettuando un vero e proprio giudizio di merito. Il giudice comune, in quel caso, non si e? fatto carico della valutazione intorno alla sola non manifesta infondatezza. Dichiarando la questione manifestamente infondata con una lunga e corposa motivazione, pare anzi avere avocato a se? una sorta di “controllo diffuso” di legittimita? costituzionale e impedito che la questione venisse giudicata dalla Corte costituzionale.

 

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