Le osservazioni critiche di Francesco Bilancia comparse sulla rivista on line dell’Associazione italiana dei costituzionalisti riflettono perplessità piuttosto diffuse rispetto alla recente riforma costituzionale in materia di pareggio del bilancio e meritano qualche nota di commento .
E’ senz’altro da condividere il rilievo secondo il quale alla riforma è stata dedicata una scarsa attenzione ed è mancato – salvo alcune qualificate eccezioni – quel confronto ampio e approfondito che il rilievo delle modifiche introdotte richiedeva. L’opinione prevalente, anche se spesso sottaciuta, è apparsa ritenere che si dovesse, in un clima di emergenza e di crescente allarmismo, bere l’amaro calice per sottrarre il nostro Paese ad una crisi fiscale dalle conseguenze letali per l’intera area dell’euro. La medicina era criticabile ma le circostanze avrebbero impedito di reagire, almeno nell’immediato, ad un’imposizione frutto di una dottrina economica rigida, opinabile ed espressione della contingenza.
Nessuno può negare che la riforma, per i tempi ed i modi in cui è stata attuata, sia frutto dell’acutizzarsi di una crisi economica che, peraltro, covava da tempo in Italia, ma anche in Europa ed oltre. Ciò non dovrebbe tuttavia indurre a sottovalutare come il pareggio del bilancio faccia parte di una strategia più ampia e dotata di una sua razionalità con la quale si intende fornire una risposta solida e di lungo periodo alle attuali difficoltà.
Primo dato da considerare. La crisi non ha origine nel 2008. L’Italia cresceva ad una media annua del 3,8 per cento negli anni settanta e del 2,4 per cento negli anni ottanta. Nel periodo 1991-2000 la crescita è stata dell’1,6 per cento per poi ridursi allo 0,4 per cento a partire dal 2000. I differenziali negativi di crescita con i nostri principali partner sono andati aumentando e, a partire dal 2003, il PIL procapite italiano è risultato inferiore a quello medio dell’area dell’euro. La bassa crescita, peraltro, è da circa due decenni un problema comune a tutti i principali Paesi europei e riflette un’evoluzione dell’economia internazionale non legata alla contingenza.