L’ignominia e l’infamia delle leggi razziali italiane del 1938 – di cui abbiamo ricordato recentemente l’ottantesimo anniversario – non è soltanto il primo passo verso lo sterminio degli ebrei, che ad esse seguì cinque anni dopo con la “scientificità” della Shoah, cui l’Italia offrì un contributo non trascurabile. È anche, forse soprattutto, l’emblema di un razzismo ricorrente e purtroppo presente anche oggi, nel contesto della paura, dell’intolleranza, dell’odio verso il “diverso” che dalla “razza” continua a trarre alimento, nonostante la demolizione scientifica di quel concetto, condannato anche e prima dalle Costituzioni e dalle Carte dei diritti. Ne è prova, sotto aspetti e forme diverse, la vicenda dei migranti: etichettati nella loro diversità dall’abbinamento fra migrazioni e sicurezza in una recente legge; esempio emblematico di violazione del fondamentale principio di pari dignità sociale (articolo 3 della Costituzione). La “cronaca” del razzismo in Italia è richiamata dall’A. a partire dalla affermazione di essa nella dottrina fascista di supremazia della razza e dalla sua applicazione: prima nella logica delle “conquiste” coloniali in Etiopia; poi contro i cittadini italiani ebrei, trasformati in “nemici dello Stato”; infine nella quotidianità risorgente del razzismo e nella fragilità – di formulazione e di applicazione concreta – delle norme rivolte, dopo l’avvento della Costituzione, a contrastare il fascismo e la discriminazione razziale.