SOMMARIO: 1. Una riforma «silenziosa» del processo civile. – 2. La confutazione della tesi dell’efficacia solo pro futuro dell’overruling attraverso la (discutibile) indagine sulla natura dichiarativa o creativa della giurisprudenza. – 3. Il recupero della teoria dell’interpretazione come disvelamento di significati già racchiusi nel testo (e la sua insostenibilità). – 4. Le conseguenze che se ne fanno discendere: mutamenti del diritto vivente tra interpretazione evolutiva ed interpretazione correttiva.
1. Una riforma «silenziosa» del processo civile
Una sorta di vero e proprio «progetto di riforma silenziosa del diritto processuale civile» , guidato dalla suprema istanza di legittimità percorre in questo periodo la pratica giudiziaria. Negli ultimi anni la Corte di Cassazione, anche a S.U., ha infatti inaugurato un trend di riletture costituzionalmente orientate delle norme processuali, allo scopo di sostituire interpretazioni più o meno solide con altre reputate più funzionali a garantire una rapida celebrazione dell’iter giudiziario. La premessa di fondo dalla quale l’orientamento muove è costituita dall’assunto, in via astratta del tutto condivisibile, che l’art. 111, co. 2, Cost., nell’affidare al legislatore il compito di assicurare la ragionevole durata del processo, integri un precetto self-executing, ponendo «una regola per un’interpretazione delle singole norme di rito finalizzata alla celerità del giudizio» .
Tra gli istituti e le materie interessati da questa sistematica operazione di riconversione ermeneutica il principio di non contestazione (per cui la mancata contestazione di un fatto allegato da una parte lo dà per assodato, principio esteso peraltro anche al processo tributario), il regime (che viene inasprito) delle preclusioni e dei nova in appello, nonché la notificazione del ricorso al secondo grado di giurisdizione nel rito del lavoro (che viene resa insanabile) .