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BREVI NOTE IN TEMA D’INTERPRETAZIONE CONFORME A COSTITUZIONE

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1. L’interpretazione conforme come pratica risalente.
E’ questione ormai nota alla dottrina che la Corte costituzionale impone sempre più spesso al giudice a quo un vero e proprio obbligo di interpretare le norme conformemente a Costituzione, senza poterle rinviare a essa.
La stessa attività d’interpretazione conforme a Costituzione, da parte del giudice comune, ha suscitato molte perplessità soprattutto in merito all’uso distorto che se ne può fare: già nel 1963 Alessandro Pace ne evidenziava tutti i limiti e la complessità teorica e pratica .
Tuttavia, ciò che si critica non è l’attività interpretativa in sé, quella che il giudice svolge quotidianamente, quanto piuttosto l’obbligo, che in tempi più recenti la Corte sembra avere imposto al giudice stesso, d’interpretare la norma anche quando questi ritenga di non riuscire a individuarne una conforme a Costituzione da applicare al caso concreto. Si è molto compressa, pertanto, la facoltà del giudice a quo di rinviare la questione al giudice costituzionale, come del resto prevedono l’art. 1 della Legge costituzionale n. 1 del 1948 e l’art. 23 della Legge n. 87 del 1953 .
Sin dalla sent. n. 356 del 1996 fu subito chiaro che ci si trovava di fronte ad un nuovo modo di intendere i rapporti tra giudice e Corte, non perfettamente in linea con ciò che aveva previsto il Costituente . Da allora ci si è continuati a domandare se questo atteggiamento dei giudici della Consulta non stia modificando i canoni entro i quali si muove il controllo in via incidentale. In altre parole, l’interpretazione conforme a Costituzione costituisce anche un osservatorio privilegiato per l’analisi dei rapporti che intercorrono tra giudici e Corte e di conseguenza anche per lo studio dell’evoluzione della forma di governo .
 

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