SOMMARIO: 1. Il caso. 2. I possibili effetti della sentenza della Corte europea alla luce della giurisprudenza costituzionale. 3. L’obbligo del tentativo di un’interpretazione convenzionalmente conforme che ammetta la fecondazione eterologa. 4. Il fallimento del tentativo di interpretazione convenzionalmente conforme come presupposto per investire della questione la Corte costituzionale.
1.Il caso La sentenza H. e altri v. Austria e? la prima resa dalla Corte di Strasburgo in tema di fecondazione eterologa1. Con tale decisione, la Corte europea affronta, piu? precisamente, il problema delle possibili violazioni della Convenzione, nelle parti in cui sancisce il principio di non discriminazione e garantisce il diritto alla vita privata e familiare, derivanti dal divieto delle tecniche di fecondazione eterologa, in un ordinamento, come quello austriaco, in cui le tecniche di fecondazione omologa (e alcune tecniche di fecondazione eterologa) sono consentite. I casi decisi della Corte europea sono due e per entrambi le conclusioni raggiunte, in riferimento all’asserita inosservanza degli artt. 8 e 14 della Convenzione, sono le medesime2: la Corte ritiene sussistere la violazione delle norme convenzionali indicate.
Prima di passare alla descrizione dei casi, pare significativo sottolineare che, nel riconoscere la violazione, la Corte europea assume una posizione diversa da quella della Corte costituzionale austriaca, pronunciatasi a partire dai medesimi casi piu? di dieci anni prima, nel 1999. Infatti, la Corte nazionale aveva ritenuto non sussistere la violazione delle norme della Convenzione indicate e del principio costituzionale di uguaglianza, valorizzando il margine di apprezzamento degli stati e rinvenendo nei divieti contestati il frutto di un bilanciamento non irragionevole3. Il primo caso riguarda una coppia che, a causa delle condizioni di salute dei due aspiranti genitori, e? in grado di rimuovere il problema di sterilita? solo ricorrendo alla donazione di ovuli, vietata dalla legge4. Il secondo caso riguarda una coppia affetta da una forma di sterilita? superabile solo con la fecondazione in vitro del gamete femminile dell’aspirante madre con spermatozoi di un donatore, anch’essa vietata5. Piu? precisamente, la legge austriaca vieta, in via generale, la fecondazione eterologa, con l’importante deroga della fecondazione in vivo tramite sperma di un donatore, che e? invece ammessa6.
Su altro versante, la fecondazione in vitro e? consentita, purche? essa avvenga tra gameti interni alla coppia: pertanto, la donazione di ovuli risulta sempre vietata. I due casi vengono distinti nell’argomentazione della Corte, ma possono essere condotte alcune considerazioni di carattere generale che li riguardano entrambi. In primo luogo, occorre notare che la decisione in esame si inerisce nel filone di quella consolidata giurisprudenza secondo cui l’art. 8 della CEDU va inteso in una accezione ampia7, in grado di ricomprendere anche la scelta di diventare genitori, e che la Corte, grazie, in modo particolare, a due precedenti in tema di fecondazione assistita8, giunge ad affermare che il “diritto di avvalersi di tecniche di procreazione medicalmente assistita allo scopo di concepire un bambino” costituisce espressione della vita privata e familiare. In secondo luogo, pare di potersi affermare che la questione di fondo posta dai ricorrenti e affrontata dalla Corte nei due casi sia la medesima: l’eventualita? che la legge austriaca generi ingiustificate disparita? di trattamento nell’esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare, a seconda delle condizioni di salute degli aspiranti genitori, attraverso la combinazione di divieti nell’accesso a talune tecniche di fecondazione assistita e delle loro deroghe.