Di tutte le domande che l’avvio del processo di adesione ha sollecitato, quella più attuale è: come finirà? Le perplessità relative agli effetti dell’ingresso dell’UE nel sistema convenzionale, sui differenti piani del (ri-)posizionamento della Cedu tra le fonti interne, del ruolo della Corte Edu nel sindacare le scelte delle istituzioni europee, e delle ripercussioni di un tale sindacato sul primato del diritto europeo e sull’obbligo di attuazione negli Stati membri, sono esse stesse causa ed effetto di un empasse nella tabella di marcia che sembrava partita a scadenze rigorose e successive.
È possibile ritrovare il punto di partenza del processo in discorso in quello che insieme rappresenta anche il punto di arrivo, il prodotto, della ancora incompiuta riflessione sulla protezione dei diritti fondamentali nello spazio europeo. Ci si riferisce alla modifica ad opera del Trattato di Lisbona sull’art. 6 TUE, che originariamente recitava “L’Unione rispetta i diritti fondamentali come garantiti per mezzo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e come risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi del diritto comunitario”.
In quella fase può dirsi che le disposizioni della Cedu non godessero di luce propria, ma di luce riflessa dall’astro dei principi generali del diritto comunitario, in quanto la Convenzione operava più che come fonte di produzione quale “strumento qualificato di interpretazione e applicazione dei diritti fondamentali in quanto principi generali” .
La riformulazione dell’art. 6 TUE ha dato i natali a quel fondamento legale per l’adesione dell’UE alla Convenzione, di cui la Corte di Giustizia rivendicava l’inesistenza nel famoso parere 2/94 del 28 marzo 1996 .
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