Sommario: 1. I fatti e la legge italiana. – 2. Il mancato esaurimento delle vie interne. – 3. Sul merito della pronuncia.
1. I fatti e la legge italiana.
La ricorrente è nata (nel 1943) da madre che aveva chiesto di non essere nominata nell’atto di nascita. Successivamente, all’età di 6 anni e mezzo era stata ‘affiliata’ – nel lessico della legge di allora – a una famiglia in Trieste. All’età di 10 anni aveva appreso di non essere figlia biologica dei coniugi che l’avevano adottata e (stando alla narrativa della pronunzia in rassegna) aveva successivamente scoperto che un’altra bambina della sua precisa età, probabilmente la gemella, era stata anch’ella ‘affiliata’ a una famiglia senza conoscere la madre naturale. Le due famiglie adottive proibirono comunque alle bambine di avere contatti.
Nel 2006, la ricorrente – ormai adulta - richiese all’ufficio di stato civile del comune di Trieste ragguagli in ordine all’identità della madre, ai sensi dell’art. 28 della legge n. 184 del 1983. L’ufficio constatò che nell’atto di nascita il nome della madre biologica non appariva perché quest’ultima aveva deciso di non rendere nota la propria identità. Conseguentemente alla richiedente fu dato riscontro negativo.
La ricorrente adì il tribunale dei minorenni di Trieste per ottenere una rettifica dell’atto di nascita ma la domanda fu rigettata. Ella risultò soccombente anche in appello. Non ricorse per cassazione ma si rivolse direttamente alla Corte EDU.
Con una pronunzia densa di aspetti problematici, la Seconda sezione accoglie il ricorso e accerta a carico della Repubblica italiana la violazione dell’art. 8, relativo al diritto alla vita privata e familiare.
Secondo la Corte, il sistema normativo italiano non sarebbe rispettoso dell’art. 8 CEDU non conciliando adeguatamente i contrapposti interessi della madre biologica e della figlia.
L’art. 28, comma 7, della legge n. 184 del 1983 prevede che l’accesso per l’adottato alle informazioni relative alla famiglia biologica non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata.
La possibilità di partorire in anonimato (vale a dire che la puerpera domandi all’ufficiale dello stato civile di non essere menzionata nell’atto di nascita) è prevista dall’art. 30, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000.
A sua volta, l’art. 93 del Codice sui dati personali (decreto legislativo n. 196 del 2003) prevede che il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del documento. Prima del decorso dei cento anni, la richiesta di accesso al certificato o alla cartella può essere accolta relativamente ai dati biologici della madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, osservando le opportune cautele per evitare che quest'ultima sia identificabile.