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“SEI GRADI DI SEPARAZIONE”: OVVERO COME ASSICURARE LA TERZIETÀ DELLA SEZIONE DISCIPLINARE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

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SOMMARIO: 1. Le ragioni della crucialità della responsabilità disciplinare – 2. La separazione della sezione disciplinare dal resto delle attività de C.S.M. e la questione della fonte idonea a realizzarla – 3. Le proposte di revisione costituzionale in tema di separazione – 4. Le premesse teoriche della separazione: la creazione con legge ordinaria della sezione disciplinare come sezione autonoma, la sezione come “giudice” e il procedimento disciplinare come procedimento giurisdizionale – 5. L’esperienza pratica: la mancata separazione tra attività disciplinare e attività amministrativa in seno al C.S.M. e le sue conseguenze – 6. I rimedi: la separazione” funzionale” tra attività amministrativa di prima commissione e attività della sezione disciplinare – 7. Altri rimedi: la Costituzione non impedisce al legislatore ordinario di introdurre incompatibilità “interne” al C.S.M.


1. Una delle ragioni per cui una forte attenzione (non solo dottrinale, ma anche mass-mediatica e comunque dell’opinione pubblica interessata) è concentrata sulla giustizia disciplinare relativa ai magistrati – ci si riferisce per il momento ai magistrati ordinari, ma il ragionamento potrebbe essere generalizzato – consiste nel fatto che, nell’ordinamento giudiziario italiano, sull’aspetto disciplinare si concentrano anche valutazioni che in un sistema ben funzionante dovrebbero essere riservate ad altri momenti, in particolare alle valutazioni di professionalità . Ma proprio perché le valutazioni di professionalità introdotte dalla riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006 non hanno ancora raggiunto quel grado di profondità (e forse di serietà) cui il legislatore mirava, il giudizio disciplinare continua ad essere uno dei pochi momenti in cui il magistrato vede realmente sottoposta ad esame la sua attività professionale. In prospettiva, naturalmente, ci si augura che la situazione cambi, e che il Consiglio Superiore della Magistratura riesca ad applicare fino in fondo la riforma del 2006, affinché possa affermarsi l’idea che il magistrato è, anche e soprattutto, sottoposto ad una valutazione di “responsabilità professionale” che non ha alcun significato disciplinare . Ma allo stato attuale, la situazione è questa, aggravata altresì dalla ben nota ineffettualità dell’altra forma di responsabilità che teoricamente l’ordinamento prevede per i magistrati, cioè quella civile, determinata dalle scelte contenute
nella legge n. 117 del 1988 e dall’applicazione giurisprudenziale che ne è conseguita .
 

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