1. Premessa.
Per democrazie costituzionali possono intendersi quegli ordinamenti giuridici che, pur facendo proprio il principio democratico, impongono al potere politico (e alle sue legittime manifestazioni di volontà) limiti esterni, derivanti direttamente dalla norma costituzionale.
Il tentativo di definizione risulta evidentemente troppo sintetico sia da una prospettiva teorica sia da una prospettiva storica e concreta, sicché sarà necessario entrare in un maggiore dettaglio. L’intento di queste pagine è di provare a fornire una mera descrizione dei tratti caratterizzanti un concetto sempre più utilizzato, ma sempre dato per presupposto, da parte della dottrina costituzionalistica (e non solo). Il concetto proviene dalla tradizione culturale giuridica e filosofico-politica anglosassone; in particolare esso è largamente utilizzato negli Stati Uniti (Constitutional Democracy), ma si è esteso anche ad altre culture costituzionali, tra cui quella italiana . Rispetto alla frequente utilizzazione del termine colpisce quindi la scarsa tematizzazione.
L’idea di fondo di queste pagine è che il termine, diffusosi soprattutto nell’ultima parte del Novecento, sintetizzi bene, come si proverà a dire meglio, il carattere dilemmatico di alcuni sistemi democratici contemporanei. Nelle pagine che seguono si proverà a sostenere, in controtendenza rispetto all’uso comune, che il concetto di d.c. non può essere utilizzato in maniera indiscriminata per indicare generalmente le costituzioni delle democrazie contemporanee, se non a pena di far perdere al concetto qualsiasi utilità. Questa prospettiva di analisi mira dunque a definire in maniera più puntuale un concetto che, nella cultura occidentale, s’identifica sempre più spesso -per ragioni di egemonia culturale che in questa sede non potremo analizzare- con lo standard di civilizzazione cui ogni sistema democratico, soprattutto se non appartenente alle democrazie occidentali, deve possedere .