Questo scritto intende svolgere alcune considerazioni sulla collocazione della modifica costituzionale in itinere nel contesto delle tormentate vicende del regionalismo italiano, soprattutto al fine di comprendere come si inserirebbe l’intervento riformatore nel tessuto del diritto costituzionale delle autonomie territoriali che vive nella giurisprudenza costituzionale e nella esperienza di ogni giorno. In questo quadro si sostiene: a) che l’accusa secondo la quale una quota consistente dello stallo decisionale che affligge il nostro sistema politico e istituzionale sarebbe attribuibile ad un difetto di competenze dello Stato e ad un corrispettivo eccesso di competenze delle regionali è priva di fondamento; b) che l’alta conflittualità costituzionale pare addebitabile in parte significativa all’inadeguatezza dell’attuazione della riforma del 2001 da parte della legge statale e al perpetuarsi di una prassi legislativa di impronta fortemente centralista, peraltro spesso avallata dalla Corte costituzionale; c) che il limite principale del presente sistema costituzionale deve essere indicato nella totale assenza di sedi strutturate di collaborazione tra il centro e il sistema delle istituzioni regionali collocate sul versante legislativo; d) che la riforma costituzionale in itinere determina una forte torsione centralista del riparto delle competenze tra Stato e Regioni, non adeguatamente bilanciata dal ruolo del Senato, sia a causa del suo debole legame con le istituzioni politiche regionali, sia a causa del ruolo subalterno che tale istituzione è destinata a giocare nei procedimenti legislativi che riguardano le politiche di settore, anche ove fortemente incidenti su temi di particolare interesse per le autonomie territoriali; e) infine, che sarebbe piuttosto necessario costruire un Senato autenticamente in grado di portare al centro il punto di vista delle istituzioni regionali, nel cui quadro il vincolo di mandato, il voto unitario di delegazione e la estromissione della componente comunale sembrano difficilmente rinunciabili, coinvolgendo tale assemblea nei procedimenti legislativi centrali di maggiore interesse per le Regioni, tra i quali soprattutto quelli concernenti le scelte di finanza pubblica direttamente incidenti sulle medesime, nonché quelle riguardanti l’uso del territorio.
The aim of this essay is to develop some considerations about the ongoing constitutional reform, with special attention to how the reform would fit into the system of the living constitutional law. In this context, it is argued in the essay: a) that the “charge” according to which a considerable part of the stalemate of our political and institutional system is due to a lack of power of the State and to an excessive amount of power attributed to Regions is totally groundless; b) that the high amount of litigation in front of the Constitutional Court between State and Regions is mainly due to the inadequate implementation of the 2001 reform and to the centralist approach of State legislation and policy; c) that the most important flaw of the present constitutional system is to be found in the absence of an institution actually able to allow Regions to participate in the making of political choices of the State; d) that the ongoing constitutional reform tries to implement a remarkable recentralization of the law-making competences, and that the new Senate would not be able to re-equilibrate that situation, due to both the weak connection with regional political institutions and its subordinate role in the law making process. I will argue instead that it would be necessary to reform the Senate in order to establish a close link between the point of view of each member of the Senate and the political point of view of the respective regional institutions. This would allow the Senate to participate, in an equal position with the other Chamber, in the decision-making processes potentially affecting regional interests, namely in the fields of fiscal policy and in the field of the management and destination of territories.