1. Il concetto di federalismo e? stato spiegato molto bene, tanti anni or sono, da Carl Joachim Friedrich, che lo ha definito un processo dinamico – federalizing process – attraverso il quale le comunita? politiche di un territorio tendono a ripartire il potere tra livelli di governo. Tale processo, che interessa ordinamenti non necessariamente coincidenti con gli Stati federali, puo? avere tendenza centrifuga o centripeta e seguire diversi percorsi storici. Il federalismo viene pertanto a essere svincolato dalla questione della sovranita?, e viene piuttosto visto come un principio per l’organizzazione della comunita? politica, che puo? articolarsi in diversi gradi a seconda delle relazioni tra governo, territorio e cittadini. Se il federalismo e? un processo dinamico e non statico, allora, si fa fatica a inquadrarlo, a classificarlo una volta per tutte. Si potrebbe dire, che lo studioso che tenti di ritrarre un federalismo vivente e operativo (Living Federalism) deve affrontare una grave difficolta?: il fatto che il soggetto del ritratto cambia continuamente.Certo, e il cultore dei sistemi giuridici comparati lo sa bene, ci sono delle “invarianti”, ovvero dei criteri e requisiti costituzionali senza i quali non si puo? nemmeno parlare di federalismo: l’autonomia legislativa residuale in capo al singolo territorio; un assetto dei poteri centro/periferia equilibrato, dove l’uno non tracima sull’altro; una giustizia costituzionale arbitro dei conflitti fra il governo centrale e il governo periferico; una camera parlamentare espressione ovvero rappresentativa delle singole realta? territoriali; una giustizia decentrata sul territorio; una costituzione locale che sia in armonia con quella nazionale; la possibilita? di consentire il distacco/aggregazione di enti locali da un macroterritorio a un altro. E poi c’e? l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa in capo ai singoli territori.Ecco, il federalismo si completa o, se piace di piu?, non puo? prescindere, dal suo aspetto fiscale. Il federalismo o e? (anche) fiscale o non e?. Ma anche qui, e forse soprattutto qui, vale ancora di piu? la dottrina di Friedrich: il federalismo, anche nella sua declinazione fiscale, e? dinamico. L’attribuzione delle funzioni operata dalla finanza pubblica dipende, piu? che dal rendimento economico di una simile scelta, dalla storia e dalla tradizione costituzionale dello Stato. Aggiungerei, anche dalla contingenza economico-finanziaria in cui versa lo Stato. Come e? stato correttamente scritto da Giuliana Giuseppina Carboni in un saggio dedicato al federalismo fiscale e pubblicato su questa Rivista (n. 4, 2009): «La possibilita? di applicare i principi del fiscal federalism a Stati con un’organizzazione costituzionale molto diversa, che spesso riflette un diverso spirito del costituzionalismo che ne ha accompagnato la nascita, non implica il conseguimento di risultati equivalenti. In presenza di rilevanti differenze istituzionali e di una concezione dello Stato distante da quella in cui la teoria ha avuto origine, i principi del fiscal federalism possono essere intesi, e saranno interpretati, in modo assai diverso. Dato il contesto istituzionale diversificato al quale e? stata applicata, la teoria del federalismo fiscale e? divenuta una teoria del decentramento fiscale, che ha l’obiettivo di indagare i costi e i benefici della distribuzione del potere finanziario tra piu? centri di decisione».A sostegno del decentramento fiscale ci sono, in punto di teoria, almeno due tesi, che conviene qui ricordare, e che esaltano l’approccio della “formula politica istituzionalizzata”. Quella di Tiebout, nota come “voto con i piedi”: i governi locali e i cittadini vengono considerati come protagonisti di un mercato, nel quale i primi offrono diversi servizi pubblici e i secondi scelgono dove risiedere, spostandosi da un territorio ad un altro, e di quali servizi usufruire. La maggiore efficienza dei governi locali nell’offerta dei servizi e beni pubblici sarebbe dunque una conseguenza della competizione tra istituzioni pubbliche. La seconda tesi, invece, va ricondotta alla teoria della public choice, che considera le decisioni dei governi come il risultato di scelte razionali degli attori politici, condizionate dagli incentivi, dalla politica e dal contesto istituzionale. Secondo questo approccio, la cura dell’interesse collettivo e? il risultato della somma degli interessi individuali, e il ruolo dei meccanismi pubblici di controllo e? quello di evitare gli abusi individuali. Il tutto si basa sull’analogia tra il mercato economico e quello politico per spiegare i benefici che i cittadini–elettori traggono dalla competizione nell’arena politica, mentre il monopolio viene considerato una limitazione della liberta? dei governati. Il parallelismo tra mercato politico ed economico sottende l’idea che coloro che assumono una scelta pubblica debbano tener conto delle preferenze dei cittadini, dai quali hanno ricevuto il mandato a governare, e della possibilita? di perdere il potere. I cittadini, a loro volta, possono influire, attraverso il voto, sulle scelte dei governanti e controllarne i risultati attraverso le istituzioni.
2. La questione del federalismo fiscale, e la sua attuazione, sta imperversando nel dibattito politico-istituzionale italiano. Della serie: avete voluto il nuovo Titolo Quinto della Costituzione a forte inclinazione federale? Ebbene, allora pedalate.
E quindi inforchiamo la bicicletta dell’art. 119 Cost. e facciamola muovere, ad andamento lento ma sicuro. A ben vedere, l’art. 119 non parla di “federalismo fiscale” (a ben vedere, mai la Costituzione parla di federalismo...) : esso si presenta lungo e dettagliato, e finisce col dire molte cose e rendere cosi? piu? complessa la sua attuazione. Si parte da un assunto forte e deciso: «I Comuni, le Province, le Citta? metropolitane e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa», per poi declinarsi su vari fronti, che attenuano e accentuano l’uso delle risorse autonome fiscali. Vuoi perche? queste devono essere «in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»; vuoi perche? lo Stato «istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita? fiscale per abitante»;