Che la “tutela della concorrenza”, “materia trasversale” di competenza statale, potesse finire per es-sere una sorta di “passepartout” attraverso cui giustificare ogni possibile intromissione dello Stato nella di-sciplina di aspetti dell’economia anche di competenza delle Regioni, si era capito da molto tempo: fin dalla sentenza n. 14 del 2004, che pure aveva cercato di radicare la soluzione di quella questione in un quadro concettuale definito e articolatamente motivato .
La sentenza in commento però, in tema di orari e di chiusure festive e settimanali degli esercizi commerciali, per la prima volta sembra portare all’estremo limite tale uso della clausola costituzionale, giun-gendo in sostanza a giustificare, in un settore di indubbia competenza regionale, come il commercio, un in-tervento legislativo statale di totale deregolamentazione, come tale idoneo a precludere qualunque disciplina della materia, in un aspetto assai significativo della stessa, ad opera di altri livelli di governo.
La pronuncia si presenta però per molti versi come contraddittoria. Essa infatti qualifica la norma im-pugnata come norma di tutela della concorrenza, in quanto tale rientrante nella competenza legislativa e-sclusiva dello Stato, e quindi abilitata a disporre costituendo un limite alla disciplina regionale o provinciale di una materia pur rientrante nella competenza delle Regioni, qual è la materia degli orari degli esercizi com-merciali, parte della materia del commercio (come è stato sempre riconosciuto dalla Corte , e come confer-ma espressamente la stessa pronuncia, con riferimento alla “configurazione ‘statica’” di detta materia ); ma non considera a sufficienza il fatto che si tratta di disciplina che appare – a prima vista – non già di mera li-beralizzazione, bensì, come si è detto, di totale deregolamentazione, tale da non lasciare sopravvivere, se applicata senza limiti e in assoluto, alcuno spazio alla legislazione regionale né alla potestà amministrativa dei Comuni in materia .