Lo stimolo a svolgere qualche breve osservazione (forse, una mera ricapitolazione) sul potere spettante al Capo dello Stato di nominare il Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 92, c. 2., Cost.) mi è provenuto sui continui dibattiti che, soprattutto, in questi giorni accendono il mondo politico e della comunicazione pubblica in merito alla formazione del nuovo Governo, dopo gli incerti esiti delle elezioni politiche dello scorso febbraio 2013. Il fuoco di attenzione di tale dibattito investe soprattutto il ruolo del Capo dello Stato, vagliandosi le possibili soluzioni che quest’ultimo potrà intraprendere per pervenire ad un tale esito, a fronte di un quadro parlamentare che appare eccessivamente frastagliato e con un alto livello di litigiosità tra le differenti aree politiche.
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Partiamo allora dalle norme costituzionali di riferimento. Queste, oltre al generale principio della sovranità popolare, di cui all’art. 1 Cost., posto a base dell’assetto organizzativo della forma di Stato e di governo, sono essenzialmente le norme che integrano il Titolo III (il Governo), Sezione I (il Consiglio dei Ministri), della II Parte della Costituzione. In particolare, la scarna formula dell’art. 92, c. 1, Cost. si limita a prevedere che sia il Presidente della Repubblica a nominare (con proprio decreto) il Presidente del Consiglio dei Ministri “e, su proposta di questo, i Ministri” mentre nel successivo art. 93 Cost. si sancisce il momento del giuramento, che precede l’assunzione delle funzioni, come quello dal quale il Governo può dirsi giuridicamente formato ed esistente. L’art. 94 Cost. disciplina, poi, l’istituto della fiducia, intesa come condizione risolutiva per il mantenimento in carica del Governo, ma, allo stesso tempo, come il presupposto per il legittimo esercizio da parte di quest’ultimo, dell’attività di indirizzo politico.